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E’ il 20 Agosto, scendo le scale disinvolta, il sole colpisce le mie spalle nude, il jeans stringe ed attanaglia la mia pelle – è un classico giorno di fine estate, che di classico ha tutto tranne il vibrare incessante del cellulare. Le notifiche corrono tra di loro cercando di raggiungere l’informazione per prima, eppure quale informazione potrei trarre dal nero cosmico che risucchia i social di Taylor Swift?
Taylor Swift, 27 anni, è uno dei personaggi (ah, ricordiamoci, anche, artista*) più interessante e discusso dell’ultimo decennio. La personalità che la contraddistingue – classica ragazzina di provincia con il sogno americano – è accompagnata da puro talento per lettere e note, tuttavia gran parte dei miei conoscenti ricorda tutti i flirt della ragazza (o i feud) ma non sa elencare neanche il titolo dei suoi album!
Fin dall’infanzia Taylor ha mostrato un’interesse per l’arte che non poteva essere ignorato, se la generazione degli anni ’90 si sfogava nei diari segreti, Taylor Swift incideva le sue frustrazioni (e gioie) su corde di chitarra – è così, che all’età prematura di 16 anni esordisce nel mercato musicale americano con il cd omonimo “Taylor Swift”. Il successo stabilito dal primo album è accompagnato dal vincitore di 4 Grammys “Fearless” (incluso Album of the Year 2010) e dal self wrote “Speak now”. Se i primi tre album della Swift si incentravano prevalentemente sul mercato country, conquistando anche i cuori dei più appassionati al pop, da canzoni come “You belong with me”, “Better than revenge”, “The story of us”, si intravedeva una tendenza pop che avrebbe raggiungo il massimo della sua miscela con il country nell’amato R(rrrrandom memories)ed! Successo planetario, secondo album ad ottenere il milione di vendite nella prima settima dalla sua pubblicazione, mostra una Taylor Swift ancora tesa a raccontare storie personali, ricche di dettagli inconciliabili con la vita di chiunque, eppure altrettanto condivisibili (insomma, chi non ha mai ballato con il proprio Jake davanti alle luci del frigorifero?). Ma è proprio durante una delle sue ere più toccanti che la Swift è toccata da molteplici scandali. Quel che ho dimenticato di aggiungere, anche se tutt’ora non ne sento la necessità, è che Taylor si è sempre ritrovata al centro di linee narrative alle quali non voleva essere associata. Si parte dall’incidente con il famigerato Kanye West, alle too many dates, al famoso “watch out, Taylor Swift will write a song about you!”. Colpita da una misoginia agghiacciante, la principessa del country pop non è riuscita a prevedere il feedback negativo che sarebbe conseguito al farsi vedere con il beniamino del pubblico, Harry Styles. La loro breve – certo, breve – relazione è riuscita a mettere in ombra la profondità del suo album ed il successivo break up ha costretto Taylor Swift a ritirarsi dal contesto amoroso che tanto l’aveva messa fuori luce – “I don’t date anymore” sosteneva a fine 2014. Il desiderio di riscatto, di dimostrare che il pubblico si sbaglia, se nel 2010 l’aveva portata a scrivere un intero album senza alcun aiuto, nel 2014 l’aiuta a produrre il capolavoro della sua transizione completa al pop: “1989” vende più di un milione di copie durante la sua prima settimana di vita, vince molteplici Grammys che permettono alla Swift di detenere due premi per “Album of the year” e i due anni successivi sono la dimostrazione della sua intoccabile influenza.
Tuttavia, così come Gatsby venne tanto amato, anche Taylor Swift si trovò completamente sola il giorno del suo funerale. Kanye West, amico della suddetta, pubblica una canzone intitolata “Famous” ove ritiene indispensabile – per il suo ego fine a se stesso – precisare che Taylor Swift sarebbe con lui in debito di sesso, per quell’incidente avvenuto nel 2009, in quanto l’avrebbe resa famosa.
(Sì, cari lettori, parliamo della stessa sedicenne che rimaneva nella classifica dei migliori album country al primo posto per 23 settimane non consecutive).
Credete che l’internet si sia schierato dalla parte della white bitch o dalla parte del Trump supporter? Il risentimento di Taylor, sentitasi violare come donna e come artista, ha portato la moglie di Kanye, Kim Kardashian (credo esista una pagina Wikipedia per lei, nel caso in cui non sappiate chi sia, il che sarebbe comprensibile) a pubblicare frammenti di una conversazione registrata senza l’autorizzazione della Swift, in cui quest’ultima – evidentemente a disagio – accetta di inserire il suo nome nella canzone con la promessa di ascoltarla prima della pubblicazione, cosa mai avvenuta. L’internet attendeva cauto e paziente un passo falso dalla nostra Daisy che, ingenua o colpevole, si è ritrovata a dover affrontare un clima simile a quello del Terrore Bianco dei Termidoriani contro gli ex-Montagnardi.
Ma perchè fare gossip inutili invece che parlare del protagonista di questo pezzo digitale? Perchè è proprio questa scintilla a far sparire Taylor Swift dal radar, a farla lavorare nell’ombra, harder in the nick of time. Rompendo il ciclo del nuovo album ogni due anni, la Swift si gode la vita come una white bitch che si rispetti e costruisce lentamente la sua vendetta.
E’ inizio Agosto quando il suo volto riappare in disegni che ricompongono un processo di cui è protagonista ancora una volta, Taylor Swift conclude il suo letargo con una vittoria schiacciante contro un dj che durante un M&G ha volontariamente molestato la cantante. Taylor riacquista il controllo sul suo corpo, sul suo cuore, sulle sue mani che are shaking from all this, è pronta per il suo ritorno.
Perciò, torniamo a me ed al sole del 20 Agosto. Per la prima volta qualcosa si muove, i social della Swift fino a quel momento rimasti inattivi vengono completamente svuotati. E’ il momento dell’eclissi, nulla è un caso. Sono tre i giorni che lasciano i fans (e non) nell’attesa più fastidiosa, tre i giorni che tengono incollato gran parte del mondo ad un suo movimento, il quale consente alla pubblicazione di tre brevi video che ritraggono un rettile (è Viserys tornato dalla tomba? E’ un segno che conferma la reale identità della Swift?), un serpente. L’ironia della situazione è evidente: Taylor, indicata come serpe per più di un anno dall’internet, si ritrova a reclamare tale status ed a guadagnarci. I Medici di Firenze possono solo accompagnare queste mosse finanziarie.
Sta di fatto che ci viene finalmente fatto sapere che Taylor Swift non è qui per giocare, ma per riprendersi tutto, così, nel silenzio, viene annunciato il suo nuovo album “REPUTATION”.
“Reputation”, che fin dal titolo e dal singolo promozionale “Look what you made me do” ci presentava una Taylor bitter, stanca, pronta a tagliare la testa di chiunque, si rivela come un lineare processo di crescita che di fatto prevede la figura di una Taylor desiderosa di vendetta, ma che alla fine riesce a lasciar andare tale aspirazione, fino al momento in cui non la lega più nessuna catena, se non la dolcezza di quella collana che raffigura le iniziali di qualcuno, se non il raggiungimento di quel “Clean” accennato senza consapevolezza in “1989”.
L’album più atteso dell’anno inizia con una perfetta apertura, abituati alle esplosioni di “State of grace” o “Welcome to new york”, la prima canzone di “Reputation” presenta in maniera altrettanto convincente i temi della’album ed il suo stesso concept.
…Ready for it:
Singolo promozionale con annesso video, prepara l’ascoltatore all’inizio dei giochi. La Taylor che scrive questa canzone è quella del presente che rimugina so ciò che era all’inizio di questa racconto – una donna cinica, ossessionata dai commenti altrui, incapace di pensare di se stessa qualcosa di distinto rispetto alla verità. Il tema della perdita della sua identità giunge alle sue estreme conseguenze, narrando di due partner in crime dai difetti irrazionali. Il lui di cui narra è un playboy dei classici odierni, un ragazzo la cui età non indica la sua maturità. Ecco che si presenta il primo tema dell’album: Taylor ci tiene più di una volta a precisare la giovane età del suo beau per evidenziare l’immaturità di quelle persone adulte che al contrario non sono riuscite a conoscerla. Il ritornello della canzone ci riporta al classico sound di “1989” ed introduce un secondo tema, un tema che era mancato tantissimo nella’album precedente, quello della fatalità.
“In the middle of the night, in my dreams
You should see the things we do, baby
In the middle of the night, in my dreams
I know I’m gonna be with you
So I take my time
(Are you ready for it?)”
Nonostante i rumors, nonostante il dolore, nonostante tutto, Taylor ha un’unica certezza (I did one thing right) ed è qui che inizia a descrivere quell’immagine distorta di se stessa introdotta dall’hit del 2014 “Blank space” e che, scambiata per pura ironia anche stavolta, nasconde parte della verità. Taylor Swift non è più la “Girl at home” né la “Girl in the dress”, è una robber che ruba cuori senza chiedere scusa, eppure stavolta si lascerebbe benissimo rapire dal suo Burton.
Ecco, è qui che l’attenta scrittura di Taylor continua a distinguersi – Burton e Taylor furono la coppia del secolo precedente, sposati, divorziati, risposati – dimostrando la sua particolarità. Ancora, è il successivo “I’m so very tame nave, never be the same now” che spiega il cambiamento di Taylor, la sua crescita interiore e per la prima volta da “Red”, non è affatto affranta di non essere più quel che era.
Il bridge accompagna la fine della canzone in maniera diversa eppure altrettanto perfetta.
“Che i giochi abbiano inizio, perchè so ciò che direte su di me, call it what you want to, non mi importa più”.
Fin dal primo ascolto è stata la mia preferita tra i singoli promozionali e la confidenza con cui Taylor non si sente più in colpa di mostrarsi per quel che è, la rende una canzone di apertura eccellente.
5/5
End Game
Ironico come la prima traccia di Reputation parli di “iniziare i giochi” e la successiva parli immediatamente di terminarli in un “end game”; come ben sappiamo, nulla è un caso, perciò riflettiamo un momento su questa disposizione. Con questa canzone, in collaborazione con il rapper Future ed il cantante Ed Sheeran, Taylor Swift mette in allerta il suo partner. Nonostante entrambi si ritrovino al centro della scena, la Swift è consapevole che la sua reputazione è totalmente rovinata. Facendo un attento esame di coscienza, la cantante è completamente travolta dai dubbi, la musica è costituita da un’ansia graduale. Taylor “can’t let it go”, anche se dovrebbe. In contrasto con questa vena altruista, il ritornello ci presenta un nuovo lato della cantante, quello della ragazza che pretende di essere la priorità del suo uomo – dopo tutto quello che le è successo, richiedere un ride or die sembra necessario. Ma il suo uomo non è contrario a queste richieste, ne scopre i “bluff”, ne ignora i rumors e forse insieme, con le loro reputazioni, potrebbero raggiungere il perfetto equilibrio.
Rispetto all’ultima collaborazione di Taylor con la musica rap (“Bad blood”), “End game” appare più significativa, anche se la parte di Future si distacca dal resto e di fatto non è coerente come quella di Ed Sheeran che senza nascondersi narra della sua attuale relazione. Il successivo pre-chorus è l’estrema sintesi dell’album e con frasi iconiche come “Reputation precedes me, they told you I’m crazy, I swear I don’t love the drama, it loves me”, la Swift conquista il mio cuore e regala milioni di didascalie per le prossime foto di Instagram.
4/5
I did something bad
E’ un piacere commentare una delle migliori canzoni dell’album e, se mi consentite, della carriera della Swift. Ho già accennato precedentemente come obiettivo di quest’album è quello di mostrare una donna che non si scusa più delle sue azioni, che di fatto non recensisce i suoi comportamenti in relazione al giudizio altrui, che non lascia agli altri decidere le sue scelte. Quando Taylor parlava di riscrivere la sua storia, la sua “narrativa”, intendeva proprio questo, ossia prendersi la responsabilità dei suoi errori. “I did something bad” si apre con il sound che si dilaga per l’intera produzione ed è impossibile non collegare le prime strofe a Kanye West, un narcisista che appare ossessionato dalle azioni di una donna che non riesce mai a prevedere – dite che ho fatto qualcosa di sbagliato nei suoi riguardi? Then why’s it feel so good?
Allo stesso modo, le strofe successive si legano perfettamente ai mignoli degli ex-lovers della Crazy girlfriend. Trovo estremamente ispirazionale il verso “And I let them think they saved me”, non sarebbe la prima volta in cui un uomo tenta di prendersi il merito della maturazione di una donna e non dimentichiamo che “If a man talks shit, then I owe him nothin” – inconcepibile non immaginare il sorriso della Swift o non sorridere a mia volta, forse anche commossa, perchè il mondo avrà dimenticato le accuse e le molestie subite, ma Taylor non lo ha fatto e solo pochi mesi fa ha dimostrato in tribunale che un uomo non ha alcun diritto su di lei.
Il bridge porta avanti questo concetto:
“They’re burning all the witches, even if you aren’t one
They got their pitchforks and proof, their receipts and reasons
They’re burning all the witches, even if you aren’t one
So light me up (light me up), light me up (light me up)”
Siamo tornati nel medioevo, epoca in cui i diritti delle donne non sono neanche un prodotto possibile alla ragione umana. Bruciano le streghe anche se non lo sono, perciò fatelo! Bruciatemi anche se non sono una strega, – Taylor li sfida, aizza la folla contro di sé, posso quasi vederla su un rogo ed è una delle immagini più forti, l’ennesima che mi riporta a quel tribunale.
Se nel precedente album con “New romantics” osava realizzare una romantica critica alla società, in questa canzone travestita da apparente ed infantile diss track, si nasconde molto di più. Forse è proprio questo che rende Reputation così toccante, senza neanche contare una ballad.
Don’t blame me
Alla passionale “I did something bad” consegue “Don’t blame me” che con evidenti riferimenti al gospel tormenta la mia testa da giorni ed il verso “Lord save me” conferma la canzone come una supplica religiosa. La Taylor bitter per la prima volta fa quasi cadere la maschera di cinismo che ha deciso di indossare per mesi, fino a perdere il senso della realtà – “Something happened for the first time, in the darkest little paradise… Shaking, pacing, I just need you”. Dopo essersi decisa ad abbandonare ogni speranza, una svolta decisa la porta a “cross the line”, addirittura ad andare oltre a quello che “they say”. Come mai, però, continuo a parlare di maschere e perdita di personalità? Perchè Taylor anche in questo caso, nella prima strofa, si descrive nella maniera più negativa possibile, ma dopo la “svolta”, nella strofa successiva al primo ritornello succede questo:
“And baby, for you, I would fall from grace
Just to touch your face”
Una donna che si descrive come una strega, come una ladra che non chiede mai scusa, come una giocatrice, potrebbe mai “fall from grace”?
Un ritorno alla Taylor innamorata dell’amore è evidenziato anche dai costanti riferimenti ad una delle sue più belle canzoni di “Red”, “Treacherous”:
“My name is whatever you decide and I’m just gonna call you mine” ricorda “And I’ll do anything you say If you say it with your hands”;
“If you walk away I’d beg you on my knees to stay” ricorda “I hear the sound of my own voice asking you to stay”.
“Echoes of your name inside my mind” ricorda “Your name has echoed through my mind“.
Le due canzoni differiscono per quella “obsession” della prima che è una conseguenza delle paure di Taylor. Ma, ancora, l’intero testo, l’intera base, sono totale ossessione. Pretendo il singolo.
5/5
Delicate
Descritto da Taylor in persona come il punto di svolta dell’album, anticipato dalla precedente “Don’t blame me”, la quinta canzone dell’album sembra non essere affetta dalla sindrome dell quinta traccia (secondo la quale ogni quinta canzone degli album della Swift sia la più emotiva), eppure riesco a cogliere nella messa a nudo di Taylor in questa canzone qualcosa di emotivo seppur non di doloroso. Il sound elettro si perde immediatamente nel minimal e dal primo secondo la Swift sembra presentarsi a qualcuno, riproponendo in modo diverso il suo “attento, sai chi sono, sai in cosa ti stai mettendo”, ma in maniera più spaventata. Alla Taylor confidente delle ultime canzoni si sostituisce una timorosa a causa dei motivi che l’hanno resa apparentemente forte – se fino a quel momento la sua reputazione sembra non avere più importanza, ora che va incontro alla sua chance di redenzione, teme che essa possa essere il suo più grande ostacolo. Il pre-chorus mi fa pensare con dolcezza alla serie tv Victoria, in particolare all’episodio 1×04 in cui assistiamo al graduale innamoramento reciproco di Victoria ed Albert ed alla conseguente proposta di matrimonio:
“Albert: For me, this is not a marriage of convenience.
Victoria: No. I think it will be a marriage of inconvenience. But I have no choice.
Albert: Neither do I.”
Ritengo che questo dialogo riassumi la situazione in cui si trova la Swift, accompagnata da questa delicata sinfonia e confermata dai versi “This ain’t for the best, my reputation’s never been worse, so you must like me for me...”. A seguire, come una bambina che vede per la prima volte le stelle, si domanda tremante:
“Is it cool that I said all that?
Is it chill that you’re in my head?
‘Cause I know that it’s delicate”
Quel che Taylor vuole trasmettere è, appunto, la tenera sorpresa che si sta sviluppando nella sua anima alla presa di coscienza che sta davvero succedendo, che dopo tutto quello che è successo, si sta davvero lasciando andare ancora una volta, si sta rendendo vulnerabile ancora una volta. Non è sorprendente? Non è la cosa più naturale del mondo? No, per Taylor Swift non lo era da molto tempo, perciò protegge questa sensazione nel modo più cauto e delicato possibile.
Estremamente toccante.
5/5
Look what you made me do
LA canzone tanto attesa dopo un anno di silenzio insopportabile, ascoltata per la prima volta alle 5am del 25 Agosto, fissata nella mia testa con dei chiodi. Attraverso questo primo singolo di promozione dell’album, Taylor Swift è riuscita a realizzare un hype ben congegnato. Nato da un suo stesso poema, “Look what you made me do” è l’estrema conseguenza di “Blank space”. Con una satira sottile, la Swift si impone al di sopra delle critiche e dell’hashtag #TaylorSwiftIsOverParty del 2016, rende suo il subdolo marchio del serpente e minaccia chiunque della sua vendetta – guardate cosa le avete fatto fare ed in effetti, cosa le avete fatto fare?
Avete costretto una ragazzina di sedici anni a crescere troppo in fretta per condividere il frutto della sua arte, avete costretto la suddetta ragazzina a crescere accerchiata dalla misoginia, avete costretto un’artista a cambiare sempre e comunque per essere costantemente perfetta al contesto d’esame, l’avete costretta a rinnegare i suoi sogni d’amore senza speranza, a chiudere il suo cuore, a smettere anche di pregare per il prossimo perchè nulla (nulla) andava mai bene.
L’avete costretta al silenzio ed ora è tempo di parlare – no, la lezione di “Speak now” non è stata dimenticata.
E forse, sta proprio nella genialità di questo manifesto, nella rabbia inespressa dal tono calmo, dalla minaccia implicita nel ritornello – dal fatto che Taylor Swift abbia colto la terra bruciata creata attorno alla sua figura e ci abbia guadagnato in quindici tracce strabilianti – forse è proprio questo a rendere tale canzone una delle migliori della sua carriera. Quel che dimostra la Swift con il primo singolo di “Reputation” è che non c’è bisogno di troppe parole per avere un impatto.
4/5
So it goes…
Personalmente, “So it goes…” si presenta come una delle mie preferite dell’intero album. Confermandosi come una continuazione di “Style”, dalla musica al contenuto ci si concentra sul verbo “incantare”. Le prime strofe, ed a seguire le seconde, paragonano Taylor ed il suo partner a degli illusionisti/maghi incatenati letteralmente dai loro sentimenti, incatenati a qualcosa che non riescono a lasciare andare. Ora capite il collegamento con “Style”? Già nella canzone appena citata l’espressione “So it goes…” è utilizzata per descrivere l’incapacità del suo lui di distogliere lo sguardo da lei – sembra incantato, riuscite a seguirmi?
L’intera “So it goes…”, come il resto delle tracce, costruisce un visual ben definito: riesco quasi a vedere una Swift dietro le quinte che spreca il suo rossetto sulla pelle di questo indefinito personaggio. Quel che poi mi fa pensare a questo brano come un seguito di “Style” è proprio il modo in cui Taylor si descrive: “I’m not a bad girl but I do bad things with you” – il concetto di “bad girl” è sicuramente centrale in “Reputation”, ma fino alla canzone precedente la Swift si trovava appena sul punto di svolta, sul punto di far cadere la sua maschera. Ritornare immediatamente a contatto con ciò che è realmente ad una canzone di distanza sembra frettoloso, se non che… Taylor stia ricordando il passato, Taylor stia scrivendo quel che segue a quei puntini di sospensione lasciati alla fine del videclip “Style”, lasciati anche nel titolo della canzone che stiamo esaminando “So it goes…”.
Lo stesso concetto di essere “catturati nel momento”, di non riuscire a resistere quando “si trovano”, quando “tutti gli occhi sono su di noi”, accentuano l’inesistenza della relazione stabile che è protagonista di quasi tutto l’album. Nonostante il sound catchy, il finale non può che lasciare un peso sul petto – la dinamica ripetitiva di questo sentimento e spezzata all’improvviso e se in “Style” la melodia accompagna ogni singolo secondo, ecco che qui è tagliata di netto. E’ finita. (In effetti, la seconda volta che troviamo i puntini di sospensione sono per accompagnare l’inizio di un nuovo amore con “…ready for it?”).
5/5
Gorgeous
Terzo singolo promozionale dell’album, scelto dalla Swift per evitare lo stesso shock dettato dalla presenza di una canzone insulsa come “How you get the girl” in un album come “1989”.
Attenzione, ciò non toglie che io sappia la musica a memoria e che l’intero testo sia ricordato parola per parola come neanche l’inno di Mameli. “Gorgeous” è una canzone i cui lyrics potrebbero benissimo avere la maturità dell’omonimo album “Taylor Swift” (anche se la sedicenne con gli stivali alti scriveva cose ben più profonde). La cosa che rende “Gorgeous” comunque piacevole è il suo essere perfetto per situazioni comune in cui ci si ritrova spesso – la cosa che rende “Gorgeous” in parte giusta nella tracklist di “Reputation” è il suo essere “unapologetic”. Ho un fidanzato, ma ti voglio.
Però… niente, non la riesco a salvare neanche io.
2/5
Getaway car
Scrivere di questa canzone è abbastanza difficile, rispetto a tutte le tracce fino ad ora ascoltate “Getaway car” è sicuramente quella più complessa dove la fantasia della Swift si mostra come già in “1989” era successo con “Wonderland”.
Se in “Wonderland” l’amore “doomed from the start” aveva portato a qualcosa di “worse” ma anche di “better”, la nona canzone di “Reputation” descrive esclusivamente il “worst of crimes”.
La “getaway car” è il veicolo utilizzato da due criminali dopo aver compiuto un crimine. Immediato il collegamento con un sicuro “tradimento amoroso”, confermato dalla cantante nel bridge “‘Cause us traitors never win”, ma in questo brano ci vedo molto di più. Collegarmi al precedente pezzo “I did something bad” ed in particolare al verso “And I let them think they saved me” mi pare inevitabile.
Taylor Swift descrive di essere fuggita via dal drama della sua vita, da un uomo che voleva lasciare da molto, per mezzo di un altro uomo – un uomo che pensa di averla salvata, quando Taylor desiderava solo la libertà:
“It was the great escape, the prison break
The light of freedom on my face”
Ma lui non stava pensando razionalmente e la ragione di lei era annebbiata da altro – questo “altro” viene definito metaforicamente come “drinking” e forse – forse – la presenza del precedente brano “Gorgeous” assume un senso. In vino veritas e la Swift bevendo un po’ troppo dimostrava di esser affetta dalla presenza di un certo “Gorgeous”, così come qui dimostra di star pensando ancora a lui con il riferimento all’alcol. Ecco che la macchina viene raggiunta da una terza persona, ecco che ci si trova irrimediabilmente in tre ed è davvero una sorpresa? Oh, no, “Don’t pretend it’s such a mystery, think about the place where you first met me”.
Ecco che “Getaway car” diviene uno dei pezzi più emotivi e sentiti dell’album, con questa ladra di cuori che fugge senza chiedere scusa per ottenere la sua libertà, la sua salvezza e forse anche per fare del bene al suo ex-something.
5/5
King of my heart
Mi chiedo chi, chi (chi) chi, abbia guardato Taylor Swift negli occhi e le abbia dato il permesso di pubblicare l’incarnazione del suicidio sociale.
Ed è con questa unica introduzione che presento l’undicesima traccia dell’album più aspettato dell’anno, “King of my heart”.
A dispetto del titolo abbastanza trash, ero pronta a dare tutte le possibilità esistenti a questo brano e seppur i lyrics si salvino (inserire gif “not you, you can choke” riguardo al ritornello), rimane il brano meno riuscito dal punto di vista musicale. L’obiettivo della Swit era di narrare l’evolversi della sua attuale relazione attribuendo ad ogni strofa un sound differente ed in questo c’è riuscita, ma qualcuno non le avrà spiegato che inserire cinque sound diversi porta a realizzare un mappazzone.
Fuggita via dalla sua prigione nella personale getaway car, Taylor Swfit ricompone la sua politica interna, felice della ritrovata solitudine, finchè giunge il punto di svolta descritto in “Delicate” ed ecco che, se in “1989” era New York che stava “been waiting for you”, la città viene sostituita con il “King” pronto a cambiare le sue – appena ritrovate – priorità. Tralasciando il sound del bridge, esso contiene la sintesi del motivo per il quale il nuovo beau rappresenti quello che stava aspettando:
“Is the end of all the endings?
My broken bones are mending
With all these nights we’re spending
Up on the roof with a school girl crush
Drinking beer out of plastic cups
Say you fancy me, not fancy stuff
Baby, all at once, this is enough”
Tale “King” non vede in lei la Taylor Swift che ti da il benvenuto nella metropoli più importante d’America, non vede l’American queen, ma una school girl crush che ritrova la bellezze nelle piccole cose. Addio champagne in coppe di cristallo, un bicchiere di plastica e la birra più scadente assumono un valore nettamente superiore con te. Queste sono le vere dichiariazioni d’amore.
2/5
Dancing with our hans tied
In molti rimpiangono la presenza di una ballad in “Reputation”, ma l’heartbreak consistente in questa traccia riesce quasi del tutto a colmare il vuoto. Taylor fin dai suoi primi successi è sempre stata legata alla metafora che l’immagine del “ballo” potesse portare – indimenticabile “Fearless”, così come la tragica “All too well” ed infine la nostalgica “Out of the woods” con il suo
“To move the furniture so we could dance
Baby, like we stood a chance”
E’ in questo modo che voglio aprire il mio commento per “Dancing with our hands tied”, con un collegamento sottile ma altrettanto forte con la relazione protagonista di “1989”. Conclusione perfetta con il sound che l’ha legata all’album precedente, in quanto questa canzone contiene i più subdoli dettagli che riportano ad hit come “Wildest dreams” o “Clean”.
Una Taylor di 25 anni narra di questo amore segreto per il quale ha investito molto, senza mai crederci davvero. Ecco la tragedia del “timing is a funny thing”, eccola che torna con una Taylor troppo cinica ed un (basta, non mi nascondo) Harry pronto a coglierla, ma rifiutato. Tuttavia ballavano, lottavano, si ribellavano al mondo, seppure legati, da cosa poi? Da questo “bad feeling” che la Swift inutilmente tenta di scrollarsi di dosso, da questo bad feeling che spera non rovinerà anche la sua attuale relazione.
“I’d kiss you as the lights went out
Takes me home, lights are off he’s taking off his coat
Swaying as the room burned down
Tangled up with you all night
Burn it down
I’d hold you as the water rushes in
The water filled my lungs,I screamed so loud but no one heard a thing
If I could dance with you again.”
(Che possiate farlo, che possiate ancora danzare insieme).
5/5
Dress
Un caloroso benvenuto alla nuova entrata nella top ten delle mie canzoni preferite di sempre – se c’è qualcosa che amo davvero di “Reputation” è il modo in cui crea una sensazione con il suo sound ed ecco che con “Dress” si riesce a sviluppare quell’impazienza, quella detestabile attesa che fa tremare le tue mani, accompagnata da quei “ah, ah, ahhh” che dovrebbero precedere un’esplosione ed invece portano ad un ritornello in falsetto appena sussurrato.
L’ennesima segreta relazione, l’ennesima cosa che il mondo non potrà capire, così come il desiderio che non soltanto le fa tremare le mani ma le toglie l’uso della parola. Teneramente il bridge, che di fatto trasforma la canzone in una romantica celebrazione del suo rapporto, mi ricorda “You’re in love” ed il suo “why I’ve spent my whole life try to put it into words”. E’ la prima volta che Taylor sostiene di star vivendo qualcosa di talmente coinvolgente da non poterlo dire a parole – da studente di lettere il collegamento con i lirici latini mi pare necessario. Si tratta sicuramente di un topos, di licenza poetica, eppure è proprio qui che Taylor si spoglia totalmente della sua reputation e intravede il bianco, il nero, il grigio di se stessa – in parte proprio perchè lui è riuscito a farglielo vedere.
And I woke up just in time
Now I wake up by your side
My one and only, my lifeline
I woke up just in time
Now I wake up by your side
My hands shake, I can’t explain this
Mi sono liberata giusto in tempo per incontrarti, per una volta il tempo sembra essere dalla sua parte.
5/5
This is why we can’t have nice things
Non più incantata dal mondo dello spettacolo ma legata alla birra nei bicchieri di plastica, la Taylor di “I did something bad” è pronta a mettere le mani sulla chitarra ed a comporre un testo all’altezza della maturità delle persone che negli anni precedenti hanno osato sabotarla. Ecco, che a tale modello di maturità, non può che rispondere “This is why we can’t have nice things” con il suo tono sarcastico ed il suo ritornello doppio tono che ricorda un gruppo di bambini capricciosi – perchè, appunto, la maturità dei big enemies di Taylor corrisponde a quella dei bambini.
Unendo la sua passione per Fitzgerald (ma ricordandomi anche Willy Wonka) Taylor Swift si riconosce nel Grande Gatsby e nelle sue sfarzose feste, in quel falso buonismo utilizzato per ottenere secondi fini o la tranqullità generale. Ma ecco che qualcuno è pronto a far piovere sulla sua festa ed a costringerla a chiudere le porte della sua vita.
La nostra maestrina preferita ci spiega bene il motivo per il quale le cose non vanno bene, perchè le rompiamo, perchè le disprezziamo e roviniamo con le nostre stesse mani. Ma a rendere questo pezzo il sovrano indiscusso dell’album è il bridge:
“Here’s a toast to my real friends
They don’t care about that he said, she said
And here’s to my baby
He ain’t reading what they call me lately
And here’s to my momma
Had to listen to all this drama
And here’s to you
‘Cause forgiveness is a nice thing to do
(Non andate via! Aspettate un secondo!)
Haha, I can’t even say it with a straight face“
Tu, sì, tu che stai leggendo: credevi davvero che non sarei venuta a sapere delle cose che hai detto su di me?
5/5
Call it what you want
Divertente come per molti anni tutti abbiano utilizzato, come argomento contro il suo talento, il suo essere monotematica. “Scrive solo dell’amore”, mi viene detto, ma l’amore non è mai uguale a se stesso ed è per questo esatto motivo che “Red” rappresenta il suo lavoro più autentico ed è per questo motivo che “Call it what you want” racconta una sfumatura dell’amore inedita: una sfumatura priva di dolore, priva di paure, priva di ansia, priva di un finale già scritto.
Riprendendo la strofa iniziale di “King of my heart”, Taylor da una breve occhiata sulla sua vita, un’esperienza vissuta nella pacatezza eccessiva che l’ha costretta a portare una “knife to a gunfight“, che l’ha portata a perdere quella corona che tanto aveva desiderato indossare. Proprio qui, in queste parole amare si cela un “I’m doing better than I ever was” – la Swift, partita da una distorta conoscenza di se stessa, giunge finalmente all’equilibrio perso in “Red” e creduto ritrovato in “1989”.
Il poetico che ho trovato per l’intero album è nascosto in questo evolversi progressivo, questo sbocciare avvenuto non per esclusiva causa di un uomo. E’ difficile il percorso da lei eseguito e c’è voluto fin troppo per smettere di avere paura. In questa ballad, per molti piatta, il tutto è concentrato nelle parole ed in quell’arte che la Swift non perde neanche a 28 anni, quando la fantasia dovrebbe dare il posto alla realtà – ma, potrebbe dirmi Taylor, questa è la realtà che di fatto sta vivendo. Perciò, va bene che sappiate, va bene che proviate a dividerci, va bene che tentiate di sapere o giudicare, va bene se provate a dare un’etichetta anche a questo stato di felicità. Chiamatelo come volete, non importa più, stavolta per davvero.
“I want to wear his initial on a chain round my neck
Chain round my neck
Not because he owns me
But ‘cause he really knows me
Which is more than they can say, I
I recall late November, holding my breath
Slowly I said, “You don’t need to save me
But would you run away with me?”
Yes (would you run away?)”
Rispetto ad una qualsiasi canzone d’amore, Taylor non dimentica di ricordare per la terza volta la presa di coscienza che nessun uomo la può salvare e che LEI è riuscita a salvarsi. L’indipendenza non viene perduta per un anello o, in questo caso, per una collana. Un sottile messaggio femminista che colgo con piacere e dolcezza.
Magari non la conosceremo mai, ma in quel poco che ci mostra, spero che potremo perlomeno capirla.
5/5
New year’s day
Trovata la pace, Taylor abbandona tutti i sotterfugi elettronici, c’è un ritorno alle origini che fa sentire questa canzone come un ritorno a casa. Una sola chitarra, una sola voce, la Swift consola se stessa ed il suo pubblico con brevi parole che scalfiscono l’anima e ti fanno riflettere.
Ad essere romanticizzato non è il bacio a mezzanotte, non sono le promesse tradizionali a fine anno, ma le bottiglie nella spazzatura dopo l’ennesima festa, la prima in cui nessuno rompe il suo cuore o la sua reputazione – la prima festa che vede i cancelli ancora aperti per una sola persona, la sua persona. E’ una preghiera costante, una supplica senza scuse, un promettersi qualcosa di migliore anche nei momenti peggiori – a long road che non conosce l’ultima pagina, ma anche se dovesse, potrebbe solo raccogliere un “vissero per sempre felici e contenti”, magari solo nei ricordi, i quali vivranno per sempre.
Mi sento, dal più profondo del mio cuore, di dedicare i sospiri con cui “Reputation” si chiude proprio a questa donna di quasi ventotto anni:
Please don’t ever become a stranger
Whose laugh I could recognize anywhere.
5/5
Sono consapevole che non ho davvero creato una recensione, riconosco che la musica di Taylor Swift non riesco ad ascoltarla e basta – necessito di sentirla con gli occhi e con la pelle. Per la prima volta Taylor porta a termine un progetto completo, un album che vede il moderno superare ciò che era ieri costantemente. A fare di “Reputation” il miglior lavoro della Swift è il modo in cui la narrazione supera le perifrasi complesse e si appoggia su frasi brevi, povere, ma legate tra di loro in un mosaico che ti arriva fino in fondo – a fare di “Reputation” il miglior lavoro della Swift è la musica stessa, una produzione che riesce a superare quella di “1989” con effetti e note che esistono per attribuire significato a quella sola parola. A fare di “Reputation” il miglior lavoro della Swift, è il mio riflettermi ed affogare in esso.
Ad essere obiettivi nella vita ci si stanca ed è sera da un po’, gli occhiali calano sul naso, non ho la forza di aggiustarli.
Sono stanca, ma sono viva ed è sconvolgente come un album possa farti sentire viva, come trovare se stessi in delle parole non tue possa farti sentire meno sola.
E’ così che ci si sente nello scrivere le cose giuste?
E cosa vuol dire scrivere il giusto? Magari siamo più simili a Taylor Swift che a quello che pensiamo di essere. Condividiamo gli stessi dubbi, le stesse paure.
Sono abbastanza?
Ho davvero sbagliato?
Sono una brava persona?
Ma, ho il diritto di essere?
Sembra che Taylor Swift abbia trovato le sue risposte – forse anche io.
Tu?